Acquagiocando

In acqua con mamma o papà dai 3 ai 6 anni

Dall’acquaticità al nuoto codificato

C’è un passaggio critico nella “carriera” di un bambino all’interno della nostra piscina dall’inizio dei corsi per la prima infanzia ai veri e propri corsi di nuoto codificato.

Così come è impostato attualmente l’ordinamento dei diversi centri natatori in Italia, il primo di questi passaggi avviene, mediamente, col compimento del terzo anno di VITA. Una vera e propria rivoluzione copernicana per il bambino!!

Egli si trova, senza molte spiegazioni, a dover continuare (o iniziare) le sue scorribande in piscina senza la compagnia genitoriale. Ed anche se spiegazione c’è stata, riesce molto difficile ad un bambino di soli tre anni capire e seguire la logica adulta di un discorso che parli della sua crescita, della possibilità di imparare cose nuove e di trovare un bravo insegnante, ecc. ecc.

A questa scelta didattica credo abbiano contribuito, molti anni fa, aspetti di carattere culturale (“i bambini debbono seguire corsi con specialisti di settore per imparare a…”); l’assimilazione dei corsi in piscina con l’inizio della scolarizzazione (inizio della vita scolastica del bambino e del suo inserimento in società).

Autonomia potrebbe essere, in questo caso, la parola chiave per descrivere, in generale, l’ubicazione nel mondo di un bambino di questa età.

A tre anni i bambini hanno capacità comunicative verbali più che discrete, non hanno più bisogno di un “traduttore” quale può essere la mamma o il papà (autonomia verbale).

Iniziano ad interessarsi dell’interscambio sociale con i pari (autonomia relazionale) ed hanno raggiunto (quasi sempre) il controllo degli sfinteri (autonomia igienica).

Esiste già nel bambino una buona conoscenza topografica del suo corpo che lo porta a poter nominare ogni parte di sé; ma il suo schema corporeo avrà ancora bisogno di anni di esperienza e approfondimento psicomotorio per configurare una vera e propria strutturazione.

Sotto il profilo relazionale, invece, ci sono grandissimi margini di variabilità riguardo alle possibili reazioni del bambino davanti alla scena del gruppo, la vasca e l’istruttore. Questo grande margine sarà dato dal suo carattere, dal suo ambiente, dalle sue esperienze anteriori sul campo e anche dal tipo di proposta pedagogica che verrà fatta al bambino.

Non c’è dubbio che il debut di un bambino di tre anni in piscina, da solo col suo gruppo e il suo istruttore, rappresenta per lui un immenso calderone di emozioni contrastanti: per l’intensità del momento, per gli aspetti attraenti e stimolanti dell’ambiente e, al tempo stesso, per il possibile smarrimento nel trovarsi da solo davanti ad una situazione che potenzialmente lo sovrasta. I pensieri si sovrappongono, le emozioni si confondono: “vorrei entrare in questo mondo attraente dove vedo tanti bambini divertirsi ma allo stesso tempo non ce la faccio!”. Oppure può verificarsi il contrario: grande eccitazione, grande scioltezza e comunicazione con gli interlocutori e con l’ambiente.

Ho conosciuto molti bambini di tre anni che hanno fatto un adattamento molto veloce alla ricca realtà della piscina, con tempi d’inserimento brevi, con buoni risultati sia in ambito acquatico che relazionale. Quei bambini che tutti abbiamo visto in piscina: solari, comunicativi, con immediata disponibilità al movimento e alla relazione.

Ho visto altrettanti bambini con poca propensione alla conoscenza di ambienti nuovi e particolari, come può risultare la piscina nei primi giorni di frequenza; e soprattutto con grandi difficoltà nel momento di intrecciare nuove relazioni con un insegnante e con nuovi compagni.

Cosa fare con tutti questi bambini (tanti!) che probabilmente avranno molta difficoltà nell’adattarsi al nuovo? Alcuni ce la faranno; altri si perderanno per strada o forse ci penserà la famiglia a riprovare più avanti …

Ritengo che la pratica sportiva acquatica, proposta con una didattica adeguata, dagli inizi della vita, sia un’opportunità immensa per l’arricchimento del bagaglio di esperienze a tutto campo (psicomotorio, relazionale, sociale) del bambino che cresce, si evolve e si adatta alla realtà.

La nostra attività acquatica è la prima disciplina in assoluto che una bambino ha la possibilità di provare e frequentare. La posta in gioco è molto grande!. Il senso di responsabilità dell’organizzazione della scuola acquatica di fronte al bambino e alla sua famiglia, nel presentare proposte ricche, attraenti, utili dal punto de vista della crescita, del risultato e della continuità dell’attività, deve essere altrettanto grande. Bisogna pensare a TUTTI i bambini che si avvicineranno e fare in modo di non dedicarsi solamente a quelli di più semplice gestione.

Tornando al bambino con difficoltà d’inserimento e tenendo conto della premessa, sono convinto che il corso di acquagiocando vada incontro a queste difficoltà, che senz’altro sono reali; non sono il frutto di capricci o di testardaggine del bambino; di solito sono vere difficoltà di adattamento che richiedono un accompagnamento, un sostegno, un’attesa diversi da quelli messi in atto per il resto del gruppo.

Un percorso indicato a tutti i genitori che desiserano quindi continuare a GIOCARE insieme al proprio figlio per prepararlo gradualmente all’ inserimento nel Corso di Ambientamento.

Ricordiamoci che i tre anni restano oggi un momento di grande sensibilità nel bambino della famiglia tipo. Tutti sappiamo che, per ragioni lavorative, ci si vede poco in famiglia. Per tanti di questi bambini questo terzo anno coincide, dovuto all’inserimento nella scuola materna, con il primo vero stacco dalla famiglia allargata (genitori, nonni, zie, tate) e non poche volte queste prime separazioni sono tutt’altro che serene e felici. In questi casi, essere ancora una volta lasciato in piscina in compagnia di professionisti probabilmente affettuosi, ma pur sempre estranei al nucleo famigliare, non aiuterà a ritrovare l’equilibrio ricercato.

Sono convinto che sia imprescindibile rendere l’accoglienza di questi bambini, che iniziano la loro avventura da soli con il gruppo e l’istruttore, molto più adatta alle loro esigenze e che nei primi periodi di questo passaggio ci si debba preoccupare di più delle questioni riguardanti la relazione e il benessere generale del bambino piuttosto che di questioni tecniche acquatiche come scivolate, tuffi o le prime bracciate. Una volta “sistemate” le prime, le altre troveranno la strada in discesa e sarà molto più semplice proporre attività attinenti al nuoto e che allo stesso tempo siano gradite e cercate dagli stessi bambini.